Negli ultimi giorni, anche se non è la prima volta che succede, ho manifestato la mia preferenza verso Apple Music, rispetto a Spotify. Ora, dato che Spotify è il servizio di streaming largamente più utilizzato, mi è stato chiesto come mai sostengo che “Apple Music sia meglio di Spotify”.
Ci sono molte motivazioni, in realtà, e vanno da quelle oggettive di natura tecnica, a quelle soggettive legate ai miei gusti personali. Dato che si parla di musica, mi sembrava interessante approfondire la cosa.
Siccome il discorso è ampio e complesso, ho deciso di dividere tutto per punti e, per non ammorbarvi troppo, ho semplificato tutto il semplificabile. È venuta comunque fuori una roba un po’ lunga, quindi insomma, non dite che non vi avevo avvisato.
Disclaimer per gli audiofili: non vi arrabbiate se trovate imprecisioni o approssimazioni, è una newsletter non una masterclass. Se invece ho detto palesi castronerie fatemelo presente.
Altro disclaimer per chi ha Spotify: questo è un link per iscriversi ad Apple Music.
Conversione audio analogico a digitale
Per riuscire a spiegare come mai un servizio, in questo caso Apple Music, sia meglio di un altro, è importante partire dalle basi. Quindi, da come funziona l’audio in analogico e nelle sua trasposizioni digitali.
Le immagini che vedete provengono da qui, per chi volesse approfondire.
In soldoni, l’audio si propaga e si rappresenta sotto forma di onde continue. Una cosa del genere, dove v rappresenta un segnale audio e t il tempo:
Per ascoltare questo audio su un dispositivo, tipo il telefono con cui condividiamo i meme, bisogna digitalizzarlo, quindi convertirlo in un segnale digitale: un file.
Per farlo è necessario campionare una serie di punti - bit -, con una certa frequenza - rate -, lungo l’onda:
Semplificando, una volta campionati si ottiene una cosa del genere:
Durante questo processo, dato che non è possibile ottenere una vera onda continua in digitale, alcuni elementi dell’audio analogico si perdono.
Va da sé, quindi, che maggiore è il numero di “puntini”, quindi maggiore è la frequenza di bit - bitrate - che abbiamo campionato, maggiore sarà la fedeltà dell’audio digitale a quello analogico.
Esiste un teorema che regola la frequenza di campionamento, che prende il nome di teorema di Nyquist-Shannon che stabilisce che per rappresentare accuratamente un segnale analogico (come l'audio) in formato digitale, è necessario campionare il segnale ad una frequenza di almeno il doppio della frequenza massima presente nel segnale stesso. Questa frequenza massima è detta frequenza di Nyquist.
Nel contesto dell'audio digitale, la frequenza di Nyquist corrisponde a metà della frequenza massima udibile dall'orecchio umano, che è generalmente considerata essere circa 20 kHz.
Questo, in soldoni, vuol dire che una frequenza di campionamento più bassa di quella richiesta dal teorema porta l’audio ad essere eccessivamente compresso e a distinguere fra i vari punti di campionamento.
Per far un paragone è quello che succede ad un video registrato con meno di 24fps: il nostro occhio è capace di riconoscere i singoli fotogrammi e il video risulta a scatti.
Formati audio digitali
Partendo dal presupposto che ogni audio digitale è in una certa misura approssimato, bisogna tener presente che ogni forma di registrazione audio digitale si può dividere in due macrocategorie: con perdita e senza perdita di dati, rispettivamente definiti anche compressa e lossless.
Il motivo principale per cui si utilizza un file compresso è la dimensione, che è molto minore rispetto a quella di un file lossless: di fatto contiene meno informazioni.
Tanto per fare un esempio, prima di approfondire: un brano di 3 minuti in WAV ha una dimensione di circa 150MB; lo stesso brano in formato AAC ha una dimensione di 6MB.
All’interno di queste due macrocategorie, poi, ci sono molti formati - li ho ordinati per qualità, quindi per quantità di dati contenuti.
Lossless
WAV (Waveform Audio File Format): Senza compressione, conserva la qualità audio originale, ma i file possono essere molto grandi.
FLAC (Free Lossless Audio Codec): Compressione senza perdita di dati, mantiene una qualità audio elevata con dimensioni di file più piccole rispetto a WAV.
ALAC (Apple Lossless Audio Codec): Compressione senza perdita, sviluppato da Apple, simile a FLAC.
AIFF (Audio Interchange File Format): Simile a WAV, senza compressione, utilizzato spesso su piattaforme Apple.
DSD (Direct Stream Digital): Formato ad alta risoluzione utilizzato nei Super Audio CD (SACD).
Compressi
AIFC (Audio Interchange File Format Compressed): Versione compressa di AIFF.
AAC (Advanced Audio Codec): Compressione con perdita, utilizzato comunemente per la compressione di file audio in formato Apple.
MP3 (MPEG Audio Layer III): Compressione con perdita di dati, ampiamente utilizzato per la sua dimensione di file ridotta.
OGG Vorbis: Compressione con perdita, formato open source.
WMA (Windows Media Audio): Compressione con perdita, sviluppato da Microsoft.
In mezzo a questa moltitudine di file, le piattaforme di streaming scelgono di utilizzare uno o più di essi secondo vari fattori fra cui: qualità audio, dimensione, proprietà del formato.
Le aziende, poi, utilizzano la qualità audio come leva per differenziarsi, posizionarsi nel mercato e aumentare il prezzo del servizio - anche se non è il caso di Apple né di Spotify, ma ci torno a breve.
Apple Music e Spotify
Passando ai veri protagonisti del discorso, in che formato sono le canzoni su Apple Music e Spotify? Per rispondere basta andare sulle informazioni generali dei due servizi, ma già che siete arrivati fin qui ve lo spiego io, tranquilli.
Formati audio e qualità
Partiamo da Spotify. Allora, il nostro caro servizio di streaming preferito utilizza il formato OGG Vorbis e offre quattro livelli di qualità audio che qui elencherò in termini di bitrate - come ho detto all’inizio, rappresentano il numero di punti campionati dall’onda continua.
Bassa qualità: Circa 24 kbps (kilobit per secondo);
Qualità normale: Circa 96 kbps;
Alta qualità: Circa 160 kbps;
Qualità molto alta (disponibile solo per gli abbonati Premium): Circa 320 kbps.
Apple, d’altro canto, mette a disposizione:
Standard: Circa 256 kbps in formato AAC per la trasmissione normale;
Alta qualità: Circa 320 kbps in formato AAC per la trasmissione di alta qualità;
Dolby Atmos: [approfondimento in fondo];
Lossless: 16-bit, 44.1 kHz (1,411 kbps*);
Hi-Res Lossless: 24-bit, 192 kHz (9,216 kbps*).
*il bitrate in questi ultimi due casi varia in base alla complessità della traccia - una variabile, ad esempio, è il numero di canali - ma se prendiamo come riferimento una traccia stereo, quindi due canali, abbiamo 1,411 kbps nel caso del Lossless 16-bit 44.1kHz e 9,216 kbps per una a 24-bit 192kHz . La formula per ottenere questo risultato è:
Bitrate= Risoluzione × Frequenza di campionamento × Numero di canali
Già solo guardando i dati, quindi, risulta evidente come oggettivamente la qualità che offre Apple Music sia migliore rispetto a quella di Spotify.
Una nota importante: per poter ascoltare file non compressi è necessario utilizzare dispositivi che li supportano.
Il bluetooth si ferma ai 320kbps e al Dolby Atmos. Per i file in qualità superiore bisogna utilizzare cuffie o casse via cavo e, nel caso dell’Hi-Res anche un DAC - Digital to Analog Converter.
iPhone, Mac, iPad e quasi tutti i dispositivi con USB C o ingresso jack arrivano fino a 46kHz; i nuovi Mac 16” e 14” fino a 96kHz. Per fare degli esempi.
In tutti gli altri casi è necessario un DAC, io ho questo, ma ce ne sono tanti.
Prezzi
Trattandosi di un servizio è importante anche valutarne il costo. Ormai, così come per tutte le piattaforme di streaming, i prezzi sono più o meno allineati, cambiano però altre cose.
Spotify parte da un abbonamento gratuito con pubblicità. Sappiamo un po’ tutti come funziona, è quello che l’ha reso celebre: ti becchi un po’ di pubblicità e in cambio hai tutta la musica che vuoi - con alcune limitazioni legate al dispositivo con cui si ascolta.
Quando arriva il momento in cui ci siamo scocciati della pubblicità entra in gioco Spotify Premium. Questo abbonamento mensile costa €10,99 e permette di ascoltare musica senza pubblicità e in Qualità molto alta - OGG Vorbis a 320kpbs. Tutto per 1 utente. Se vogliamo dividerlo con qualcun altro dobbiamo pagare €14,99 (due utenti) o €17,99 (sei utenti).
Apple Music invece non prevede un piano gratuito - a meno di non comprare un dispositivo Apple: in quel caso si hanno 6 mesi gratis - quindi o decidi di pagare o usi Spotify.
Nel momento in cui, però, si mette mano al portafogli ci troviamo di fronte a 3 opzioni, sempre mensili: Voice Plan a €4,99 al mese - in cui la gestione è affidata al controllo vocale, quindi a Siri (non affiderei a Siri neanche un timer, poi fate voi) - Premium e Premium Family, rispettivamente al costo di €10,99 e €16,99 e utilizzabili da 1 utente o un massimo di 6.
Più o meno il prezzo è lo stesso di Spotify, ma...
Allo stesso prezzo Apple offre i formati lossless. E questa, per me, è una differenza sostanziale.
Interfaccia
Altro elemento importante quando si parla di servizi digitali è l’interfaccia. Qui, lo dico subito, si entra nel campo di quello che io penso sia meglio. Non sono un designer, peraltro, quindi prendete quello che dico come la mia opinione. Che poi sia insindacabile e vada presa come oro colato l’avete appena pensato voi, non io.
Tornando serio, le interfacce dei due servizi, pur avendo la stessa funzione - far ascoltare musica - sono molto diverse. Quella di Apple Music, almeno su mobile, è molto semplice: l’obiettivo è ascoltare la musica e non ci sono distrazioni.
“Ascolta ora”, “Scopri”, “Radio”, “Libreria” e “Cerca”. In alto vedete quello che si apre di solito, che è la pagina dedicata a me utente, con suggerimenti mirati, playlist, album e compagnia cantante. Le altre schermate sono simili e tutto, in definitiva, è davvero lineare e poco invasivo.
D’altro canto Spotify è diventato sempre di più un guazzabuglio di cose in cui è veramente difficile raccapezzarsi, per quanto mi riguarda.
Prendiamo ad esempio l’equivalente dell’”Ascolta ora” di Apple, quella che Spotify chiama “Home”.
Qui troviamo: brani già ascoltati, suggerimenti personalizzati, suggerimenti generici, schermate pop-up, podcast e, da qualche tempo, anche un feed video simil TikTok.
Tutto quello che si vede nell’app sembra essere messo lì con il solo obiettivo di tenerci quanto più possibile nella piattaforma, assecondando quelli che sono i trend e le necessità social del momento.
La musica è messa da parte, come fosse un accessorio che viene dopo rispetto al Quiz su Sanremo, o al mega banner dell’ennesima trovata delle major.
Non fraintendetemi, se apro la pagina “Scopri” di Apple trovo le stesse cose. Ma devo aprirla io: sta lì la differenza.
Compenso artisti
Aspetto molto importante e che spesso non viene considerato è il compenso degli gli artisti.
Partiamo dal presupposto che il sistema dello streaming non è sostenibile né per le piattaforme né per gli artisti. Se volete saperne di più andate a leggere gli articoli di uno che ne sa davvero, Honest Broker.
In sostanza, comunque, una piattaforma come Spotify guadagna in due modi: abbonamenti e pubblicità. Il ricavato, poi, deve essere redistribuito fra la stessa Spotify, gli artisti e le etichette discografiche.
Va da sé che come modello di business, specie offrendo un abbonamento gratuito, presenta delle criticità. Di fatto, al contrario di quasi tutte le piattaforme, Spotify più viene utilizzato più deve redistribuire. Quindi meno guadagna.
Questo porta a tariffe di redistribuzione dei proventi per gli artisti così basse da chiedersi se siano reali. Oltre a Spinnit, ho una piccola etichetta discografica, quindi faccio riferimento a numeri reali.
Prendendo un brano a caso fra quelli che abbiamo pubblicato ho visto che per ogni stream su Spotify l’artista in questione ha ottenuto: 0,000236 euro. Non penso neanche sia pronunciabile.
Ovvio che questo problema è legato a tutte le piattaforme e viene da chiedersi se forse i Metallica, in definitiva, non avessero ragione.
Fra tutte, però, Spotify è quella che paga meno. Tra l’altro smetterà anche di pagare gli artisti sotto ad una certa soglia di stream - come se il numero esiguo di stream fosse solo colpa dell’artista e non anche della piattaforma che premia solo chi viene suggerito dalle case discografiche, o come se la produzione di chi ha meno di mille streams valesse meno di quella di David Guetta o chi per lui.
Tornando al discorso, per lo stesso brano che citavo prima, uno stream su Apple ha portato 0,004515 euro.
È sempre una cifra impronunciabile, ma è comunque di più. E neanche poco di più, relativamente parlando.
Dovendo scegliere fra le due, visto che il mercato propone questo e poco altro purtroppo, mi fa piacere che l’artista riceva qualcosa in più. Mi sembra proprio giusto, ecco.
Intenti e approccio
Andando a concludere, quello che io vedo fra Apple e Spotify è una differenza di approccio, che per un appassionato di musica è abbastanza evidente ma proverò a spiegare.
Apple, a partire dalla qualità audio che offre, arrivando all’interfaccia, mette davvero al centro la musica.
Spotify no.
Apple, almeno come impressione, fornisce una piattaforma fatta per ascoltare la musica.
Spotify una piattaforma di marketing.
Questa diversità nell’approccio e, dunque, negli intenti è visibile chiaramente dai profili social delle due aziende: Apple non ha un profilo Instagram di Apple Music - almeno per l’Italia - Spotify è fissa a rispondere ai Threads. E mi fermo qui.
Quello che mi interessa è la musica, non la piattaforma. Non me ne frega nulla di far parte di un qualcosa, di vedere la mia app che condivide memini divertenti e cose del genere.
La musica e il modo di ascoltarla sono cambiati, quindi non dirò che era meglio quando c’erano i CD - anche se per certi aspetti, soprattutto per gli artisti, lo era.
Ci troviamo, ormai, in un contesto in cui tutto si ascolta in streaming. Non potendo cambiare questo fatto, io voglio poter ascoltare quello che mi piace senza dovermi beccare il pop-up di Sanremo perché è quella settimana dell’anno. E in più, vorrei ascoltare le canzoni nella qualità audio migliore possibile.
Tutto questo Apple lo offre, Spotify no.
Dolby Atmos
Nelle differenze audio fra Apple e Spotify ho inserito anche il Dolby Atmos. Vi spiego brevemente cos’è perché non è una cosa da poco.
Dolby Atmos è una tecnologia audio avanzata sviluppata da Dolby Laboratories. A differenza dei tradizionali sistemi audio surround, che utilizzano canali audio fissi, Dolby Atmos introduce un approccio tridimensionale al suono.
In un sistema Atmos, il suono può essere posizionato in modo tridimensionale, permettendo agli ascoltatori di percepire i suoni provenienti da sopra, da sotto e da tutti gli altri lati.
Più tecnicamente Dolby Atmos si basa su:
Oggetti Audio: In Dolby Atmos, il suono è rappresentato come oggetti audio, come voci, effetti sonori o strumenti musicali. Ogni oggetto può essere posizionato tridimensionalmente nello spazio.
Canali di Altezza: Oltre ai canali audio tradizionali (come i canali stereo o surround), Dolby Atmos introduce canali di altezza. Questi canali consentono ai suoni di essere posizionati sopra o sotto l'ascoltatore, aggiungendo una dimensione verticale all'esperienza audio.
Altoparlanti Elevati: Nei sistemi di altoparlanti Dolby Atmos, altoparlanti aggiuntivi sono posizionati sul soffitto o sopra l'ascoltatore per fornire il suono dalla parte superiore. Questi altoparlanti possono essere integrati nel soffitto o essere altoparlanti dedicati, noti come "altoparlanti di altezza".
Metadati di Posizione: Dolby Atmos include anche metadati di posizione che forniscono informazioni sulla posizione tridimensionale di ciascun oggetto audio. Questi metadati sono utilizzati per adattare dinamicamente la riproduzione audio in base alla configurazione del sistema di altoparlanti.
Ora, esattamente come l’Hi-Res Lossless, anche il Dolby Atmos - che Apple chiama Spaziale, utilizzando letteralmente in termine, per quanto sia anche spaziale! - ha bisogno di un dispositivo di riproduzione che lo supporta, tipo le AirPods Pro o Max. Anche se ce ne sono tanti altri.
La cosa bella, ancora una volta, è che Apple metta a disposizione questo formato, perché a livello audio è una figata ed è un qualcosa che per chi davvero si interessa di musica può fare la differenza.
Chiudo, dicendo che Apple non mi ha pagato. Purtroppo.
Peace!
Molto interessante! Sarei curiosissimo di sapere di più anche a proposito di YouTube Music