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Ora andiamo al sodo.
“Album preferito per ogni decennio dai ‘60 in poi?”
Ho ricevuto questa domanda qualche giorno fa su Instagram e l’ho trovata davvero interessante. Quindi ho deciso di dedicare un’intera newsletter alla sua risposta. Anzi due: questa dai ‘60 agli ‘80 e la prossima dai ‘90 ai ‘10.
Non è stato facile, sarò sincero. Ma è sempre così quando c’è da stilare classifiche, per quanto mi riguarda.
Una precisazione importante: non arrabbiatevi se non trovate il vostro disco del cuore o siete in disaccordo sulla scelta. Questa lista è totalmente, incredibilmente e assurdamente soggettiva.
Piuttosto, fatemi sapere - magari su Instagram - qual è il vostro disco italiano preferito per ogni decennio.
Anni ‘60
Il primo non poteva che essere lui: Faber. Sia perché è uno dei miei cantautori preferiti - anche se ne parlo poco rispetto ad altri - sia perché la sua opera, a partire proprio dagli anni ‘60, è stata di importanza capitale per tutta la discografia italiana.
Dovendo trovare un suo disco di quel periodo, poi, la scelta è ricaduta su Tutti morimmo a stento, sicuramente quello che preferisco fra i tre del decennio.
Un album clamoroso, denso di significati, pathos, emotività, poesia, ma anche di soluzioni sonore interessanti.
Pubblicato nel 1968, Tutti morimmo a stento, per citare lo stesso Faber:
“Parla della morte... Non della "morte cicca", con le ossette, ma della morte psicologica, morale, mentale, che un uomo normale può incontrare durante la sua vita.”
Protagonisti dei brani sono proprio queste persone, ancora una volta gli ultimi, gli sconfitti, da sempre centrali nella produzione di Faber.
Alle storie dei protagonisti, narrate durante i brani, si aggiungono tre intermezzi che, sempre per citare De André:
“[…] io chiamo di giustificazione.
Col "Primo intermezzo" giustifico i drogati da un punto di vista umano. Parlo dei veri professionisti della droga non dei dilettanti. Sono andato da uno di essi e mi son fatto raccontare le sue sofferenze. […]
Col "Secondo intermezzo" giustifico Babbo Natale, come si giustifica qualsiasi vecchio che tenta di aggrapparsi alla vita raccogliendo i frutti più belli, come il sorriso di una ragazzina vergine.
Col "Terzo intermezzo" giustifico la guerra e l'amore, come esplicazione di due sentimenti umani. L'amore inteso nel senso più lato, verso tutto e tutti; la guerra come estrinsecazione di quel terribile sentimento che è l'odio.”
Da un punto di vista musicale, Tutti morimmo a stento è un concept album, vale a dire un disco i cui brani sono legati fra loro e sviluppano un unico tema.
Sia le canzoni che gli intermezzi offrono tantissimi spunti e tutto è curato nei minimi particolari. Troviamo lo stile tipico del primo De André - quello che si ispirava a Brassens, per intenderci - ma anche alcuni segmenti quasi cinematografici, specie negli intermezzi. Abbiamo anche folk, rock e un po’ di psichedelia, uniti a momenti più orchestrali.
Una cosa interessante che ho notato, ascoltandolo con attenzione, è che musicalmente contiene quasi tutti gli elementi che poi ritroveremo più avanti nella discografia di Faber.
Tanto per fare un esempio, La ballata degli impiccati ha uno stile molto simile a quello di alcuni brani di Anime Salve, ultimo album di De André, ma anche a Creuza de mä.
In sostanza, penso si possa considerare una summa dell’opera di Faber in termini di soluzioni sonore e tematiche.
Uno dei dischi più belli della storia della musica italiana.
Anni ‘70
Qui è stato davvero difficile scegliere. Lo ammetto.
Un po’ perché tanta della mia musica preferita è stata creata in quel decennio, un po’ perché larga parte della produzione discografica italiana - quella più significativa - è nata sempre in quegli anni.
Che si parli di pop, rock, cantautorato, progressive, musica sperimentale o altro, quasi tutto è stato fatto nei mitici ‘70.
Dovendo scegliere, però, sono finito di nuovo su Faber. Nello specifico, su uno degli album di De André meno apprezzati dalla critica: Storia di un impiegato.
Lui stesso, parlandone ha detto:
“La "Storia di un impiegato" l'abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.”
Ciononostante sono legato a questo album in maniera viscerale e non potevo non inserirlo.
La canzone del padre, La bomba in testa, Nella mia ora di libertà, Il bombarolo, Verranno a chiederti del nostro amore… tutto ciò che riguarda questo disco mi emoziona. Tutte le volte, e dico davvero tutte le singole volte, al “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti” mi viene la pelle d’oca.
Storia di un impiegato è, di nuovo, un concept album. Le vicende sono quelle di un impiegato che, dopo aver ascoltato una canzone del maggio francese, vive una prima epifania e decide di uscire dalla sua condizione, ribellandosi alla società.
L’impiegato, a questo punto, prende una serie di iniziative riottose e violente con l’obiettivo di scardinare l’ordine costituito. Il tutto, però, da solo, a sottolineare l’importanza dell’io, dell’individuo - un concetto alla base dell’uomo medio borghese del dopo guerra.
Dopo una serie di eventi a tratti anche comici, la storia si conclude in carcere con un’altra epifania nella quale l’impiegato comprende che senza un’azione congiunta, una lotta comune, non si può combattere il potere:
“Di respirare la stessa aria
Dei secondini non ci va
E abbiam deciso di imprigionarli
Durante l'ora di libertà
Venite adesso alla prigione
State a sentire sulla porta
La nostra ultima canzone
Che vi ripete un'altra volta
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti”
Nella mia ora di libertà
Molto interessante, in questo senso, il cambio di soggetto proprio nelle ultime strofe dell’ultimo brano, dove dal singolare si passa al plurale, a suggellare il cambio di prospettiva del protagonista.
Come accennavo all’inizio, questo album non è stato accolto in maniera positiva dalla critica. A mio modo di vedere i motivi sono più che altro di natura politica. Storia di un impiegato, infatti, è il primo disco apertamente politico di Faber e, si sa, quando un grande artista - o un nostro idolo - si schiera, ma non nel modo in cui ci si aspetta, è facile rimanerne delusi.
Dobbiamo anche tenere presente che l’Italia di quegli anni, specie musicalmente, era molto politicizzata e le idee di De André, dichiaratamente anarchico, non necessariamente andavano d’accordo con quelle dell’intellighenzia culturale dell’epoca. Ricordiamoci che siamo negli anni del terrorismo, sia rosso che nero, e delle stragi di stato, un momento molto complesso da descrivere, anche se ti chiami Fabrizio De André.
Io, comunque, trovo questo album bello, anche se effettivamente un po’ confuso: di fatti unisce elementi anarchici, portati da De André - non ci sono poteri buoni - ad altri di sinistra, portati dal marxista Bentivoglio, e non sempre riesce a unirli.
Per ciò che riguarda l’aspetto musicale, invece, niente da dire, secondo me. Come Tutti morimmo a stento, anche qui troviamo arrangiamenti vari e tipici della produzione di Faber, anche se in chiave molto più progressive.
Ma il bello sta proprio in quelle brevi sezioni fatte di organi distorti, corde di basso picchiate fortissimo e nella generica aria psichedelica: siamo pur sempre negli anni ‘70!
Insomma, Storia di un impiegato è un disco che non mi stanca mai e avanza critiche anche forti, come in Tutti morimmo a stento, pur muovendosi su un piano diverso. Parla di lavoro, di protesta, di individualismo e di una società che già negli anni ‘70 viveva di contraddizioni che non hanno fatto altro che esacerbarsi negli anni.
Ascoltatelo!
Anni ‘80
You saw that coming, didn’t you?
Franco non poteva mancare. Non potevo non inserire uno dei dischi più belli della storia della musica italiana. Nonché uno dei miei preferiti in assoluto: La voce del padrone!
Prima di parlare di questo album, però, vi faccio un brevissimo excursus sulla carriera discografica di Battiato fino a quel momento.
Possiamo dividere il tutto in tre fasi: quella iniziale, in cui Battiato cerca di farsi largo nella giungla discografica attraverso la canzone d’autore - in particolare quella di protesta - quella di mezzo, nella quale si dedica alla sperimentazione e all’avanguardia e, infine, quella pop che inizia nel 1979.
Perché questa data? Perché è l’anno di uscita de L’era del cinghiale bianco a cui seguiranno Patriots e, appunto, La voce del padrone. Un trittico clamoroso che spedisce Battiato in cima alle classifiche e nei cuori di milioni di ascoltatori.
Di questa falsa-trilogia, La voce del padrone è l’ultimo - un po’ come Il ritorno del Re - e segna la consacrazione totale e definitiva di Franco.
All’interno troviamo: Summer on a solitary beach, Bandiera bianca, Gli uccelli, Cuccurucùcù, Segnali di vita, Centro di gravità permanente e Sentimiento Nuevo.
Sette (7) canzoni. Bastano sette canzoni per fare la storia.
Sono convinto che se qualcuno volesse fare il disco pop perfetto, dovrebbe dargli le sembianze de La voce del padrone.
È un album che diverte, emoziona, fa ballare, incuriosisce, coccola. Un disco che arriva - come dicono quelli bravi.
Tutto è curato nei minimi dettagli. Tutto è perfettamente bilanciato. Ogni brano completa l’altro e l’insieme suona coerente, organico, sensato.
Analizzando le canzoni troviamo la perfetta sintesi della lirica di Battiato: satira, critica politica, riferimenti colti, poesia, filosofia, arte, nostalgia e i richiami al mare e alla Sicilia.
Io veramente non so che aggiungere: è tutto bellissimo.
Anche musicalmente La voce del padrone rappresenta il perfezionamento definitivo di ciò che negli anni precedenti Battiato aveva già sperimentato.
Canzone d’autore, psichedelia, avanguardia e ritmi pop si mescolano perfettamente fornendoci un quadro chiaro, limpido e definito di ciò che - almeno fino a quel momento - voleva dire fare musica per Battiato.
Mi auguro che ognuno di voi l’abbia ascoltato almeno una volta, in caso contrario recuperate subito perché, davvero:
Ed è bellissimo perdersi in quest'incantesimo
È bellissimo perdersi in quest'incantesimo
Sentimiento Nuevo
Nella seconda parte, in arrivo presto, i miei dischi preferiti degli anni ‘90, ‘00 e ‘10.
Peace!