Il secondo album è il più difficile?
Forse. Vediamo chi ha fatto meglio alla seconda pubblicazione!
Secondo articolo in collaborazione con RatPark, per la rubrica Fridays On The Moon. Qui trovate il mio primo articolo. Oggi parlo di un argomento interessante, partendo da una citazione di CapaRezza: “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”. Una frase molto vera, perché quando un album musicale è frutto di lavoro, impegno e dedizione, quando un artista ci mette davvero dentro una parte di sé, non è facile replicare.
Ci sono, però, alcuni che ce l’hanno fatta e che, anzi, col secondo album si sono addirittura superati. Ne ho scelti tre - così come hanno fatto i miei colleghi di RatPark. Vi lascio qui i primi due, e per la versione completa rimando al magazine.
Michael Kiwanuka - Love & Hate
Love & Hate è il secondo album di Michael Kiwanuka, artista britannico di cui ho parlato già altre volte. Un artista fondamentale in quella che è stata la rinascita del soul degli ultimi anni.
Pubblicato nel 2016, a quattro anni dall’ottimo esordio Home Again, questo secondo album rappresenta una vera e propria pietra miliare non solo per la carriera di Kiwanuka, ma per tutto il neo-soul, come dicevo.
Partendo dalla prima traccia, Cold Little Heart un brano lungo 10 minuti, con una intro clamorosamente cinematografica e che strizza l’occhio agli anni ‘70 fra psichedelia e progressive alla Pink Floyd, Kiwanuka costruisce un disco ricchissimo dal punto di vista sonoro, di contenuti e di significati.
Tutto in Love & Hate è perfetto, curato e studiato nel minimo dettaglio e con un sound che, per quanto già sentito, è unico. Vi consiglio di ascoltarlo tutto d’un fiato e poi di rifarlo ancora e ancora.
Nirvana - Nevermind
Quando mi è stato detto il tema di questo articolo ho pensato subito a due cose: Verità Supposte di Caparezza e Nevermind dei Nirvana. Del primo ne hanno parlato i miei colleghi di RatPark sulle pagine di RatPark - abbonatevi! - per quanto riguarda Nevermind, invece…
Ci sarebbero davvero 800miliardi di cose da dire su questo album, e probabilmente non basterebbero. Esplicito subito una cosa che conosce SpinnIt da un po’ probabilmente sa: sono molto legato al grunge e, in generale, al rock degli anni ‘90 - ne ho parlato anche di recente su SLEEVE Magazine - tuttavia nel triumvirato di Seattle, composto da Soundgarden, Pearl Jam e Nirvana, questi ultimi sono quelli a cui sono meno legato.
Non so dirvi bene il motivo, forse è il desiderio di doversi sempre un po’ distinguere, forse le voci di Eddie Vedder e Chris Cornell, in particolare, mi fanno vibrare le corde dell’anima in maniera diversa. Fatto sta che, nonostante questo, ignorare l’importanza dei Nirvana e, soprattutto, di Nevermind sarebbe da criminali. And I’m a nice guy.
Nevermind, pubblicato il 24 settembre 1991, è uno dei dischi più iconici della storia del rock e ha avuto un impatto culturale immenso. Questo secondo album della band di Seattle, guidata da Kurt Cobain, è considerato il manifesto del movimento grunge e uno degli album che hanno definito gli anni '90. Con brani potenti, testi introspettivi e un sound che mescola aggressività punk, melodia pop e l’energia del rock alternativo, Nevermind ha catapultato i Nirvana nel mainstream.
Lo so che fra di voi ci sono gli enthusiasts di Bleach, ci sono sempre. Ma non si può negare né l’impatto di Nevermind né il fatto che, semplicemente, è un disco migliore. I brani sono meno grezzi, tutto è molto più a fuoco, preciso. Certo, tutto è molto pop, non a caso è uno degli album rock più ascoltati di sempre. Ma magari il pop fosse sempre così.
Anche in questo caso inutile suggerire una canzone in particolare: va ascoltato tutto. Vi dico, però, la mia preferita: Territorial Pissing.