30 anni fa, più o meno in questi giorni, usciva Vs. il secondo album dei Pearl Jam. Quale migliore occasione, quindi, per parlare di una delle band del mio cuore?
Siamo nel 1992, la band di Seattle è alle prese con l’estenuante tour di Ten - disco d’esordio nonché capolavoro assoluto e successo interplanetario.
Vedder e soci sono esausti, ma hanno ancora tanto per cui essere incazzati e quindi scrivono. Le prime bozze dei brani di Vs. nascono proprio fra una data e l’altra del tour.
Ad inizio 1993, poi, i Pearl Jam si chiudono in studio e iniziano a registrare, con alcune novità rispetto al lavoro precedente: Dave Abruzzese alla batteria - che già li aveva accompagnati durante il tour - e Brendan O’Brian in cabina di regia - dove ci resterà fino a Lightning Bolt del 2013.
Bisogna tener presente che siamo in un periodo molto particolare sia per i PJ che per il grunge. I Nirvana sono ormai arrivati alla fine e agli occhi del pubblico mainstream sono i Pearl Jam a portare avanti la bandiera del movimento con le camicie di flanella e tutto il resto.
Vedder & co., dal canto loro, si trovano davanti all’epica impresa di dover superare - o quantomeno eguagliare - il successo di Ten e affrontano i fastidi legati allo showbiz, fra soldi che entrano a palate, necessità di restare fedeli alla linea e i primi screzi con Ticketmaster che si concluderanno in tribunale nel 1994.
La ricetta perfetta per il disastro. Eppure…
Quello che esce fuori da tutto questo, infatti, è un lavoro clamoroso, per certi aspetti migliore di Ten e che porta, definitivamente, i Pearl Jam fra i grandi della storia della musica, consegnandogli allo stesso tempo le chiavi del grunge.
Vs. è costellato di gemme. Al suo interno c’è di tutto: dalla rabbia di Go, Leash e Rats all’intensità di Indifference - in assoluto la mia preferita - passando per le quasi-ballate Daughter e Elderly Woman, senza dimenticare Rearviewmirror - altro brano che amo alla follia -, Dissident, W.M.A e tutto il resto.
È un disco che suona coeso, completo, anche più di Ten. Soprattutto, però, è un album diverso. Sono i Pearl Jam, sì, ma non copiano sé stessi.
Vs. è rabbioso, incazzato e diretto come se la band avesse provato a portare l’impostazione live in un disco in studio, ma allo stesso tempo innovativo.
La voce di Eddie raggiunge note incredibili e tocca vette di pathos impareggiabili. Abruzzese alla batteria gliene dà secche come se fosse l’ultima volta in vita sua che vede una batteria e così anche gli altri fra chitarre e basso.
Anche la mano di O’Brian si sente: tutto è al proprio posto e ogni canzone completa l’altra.
A trent’anni di distanza Vs. è ancora capace di catturare l’attenzione portando l’ascoltatore in una dimensione parallela fatta di chitarre distorte e voci graffianti. Il tutto confezionato in un formato così diretto che parlare di mainstream non risulta offensivo ma un sollievo per chi ama la buona musica.
A tal proposito, visto che ci sono artisti e “artisti”: questo disco nella prima settimana ha venduto 950mila copie e totalizzato 7 dischi di platino - veri eh, non streaming!
Il tutto senza un briciolo di pubblicità se non quella del lavoro precedente e dei live. Di fatti, nonostante fossero gli anni di MTV, i PJ non hanno pubblicato nessun videoclip per Vs. Per citare Stone Gossard:
"I don't want people to remember our songs as videos."
Per concludere, riprendo una questione venuta fuori durante la Live su Instagram con il Dottor Cyaomamma: il secondo album è davvero il più difficile nella carriera di un artista?
I Pearl Jam con Vs. dimostrano che sì, è sempre difficile ripetere un grande successo ma quando hai qualcosa da dire viene tutto un po’ più facile.
Peace!
p.s. non mi si venga a dire che parlo solo di jazz!